I negazionisti ringraziano commossi: finalmente una legge che stabilisce che una verità storica ha bisogno di una legge per essere creduta. Confermate anche tutte le teorie complottiste: “La Storia la scrivono i vincitori”
Roberto Della Seta
È giusto ed è utile introdurre una specifica sanzione penale per chi nega la Shoah? La questione, di cui si discute da anni, ritorna di attualità ora che il Senato ha approvato quasi all’unanimità (tra i pochissimi astenuti la senatrice a vita Elena Cattaneo) un disegno di legge che intervenendo su una legge del 1975 – la cosiddetta legge Reale nata per contrastare i fenomeni di terrorismo – dispone un aumento di pena di tre anni di carcere per i casi nei quali l’istigazione e l’incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, reato già presente nel codice penale, si fondano “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”.
Il tema, ripeto, non è nuovo. In Italia se ne parlò per la prima volta nel 2007 quando l’allora ministro della Giustizia Mastella propose di introdurre il reato di negazionismo per punire con il carcere chiunque neghi pubblicamente l’esistenza storica e le dimensioni storicamente accertate della Shoah. L’idea di Mastella suscitò molte adesioni ma anche critiche radicali, e comunque rimase lettera morta. Stefano Rodotà scrisse che la norma proposta era “una di quelle misure che si rivelano al tempo stesso inefficaci e pericolose, perché poco o nulla valgono contro il fenomeno che vorrebbero debellare, e tuttavia producono effetti collaterali pesantemente negativi”. Alcuni dei più autorevoli storici italiani – da Carlo Ginzburg a Giovanni De Luna, da Sergio Luzzatto a Bruno Bongiovanni – promossero un appello pubblico in cui sostenevano che “ogni verità imposta dall’autorità statale non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale”. Punti di vista analoghi espressero nell’occasione intellettuali europei come Paul Ginsborg e Thimoty Garton Ash: “La negazione dell’Olocausto – scrisse Garton Ash – va combattuta nelle scuole, nelle università, sui nostri media, non nelle stazioni di polizia e in tribunale”.