Riccardo Di Segni
Chi legge questo titolo non si spaventi. Lo scopo di questo articolo è di spiegare che cosa succede dal punto di vista scientifico nel processo di lievitazione, proibito dalla Torà a Pesach. Le conoscenze scientifiche attuali, in particolare nel campo della biochimica, consentono di capire molti processi e in particolare forniscono una solida spiegazione ad una serie di antichissime regole rabbiniche che potrebbero sembrare arbitrarie e ingiustificate. Non c’è bisogno di essere uno scienziato per capire questo articolo e chi lo legge potrà apprendere o ripassare con una prospettiva originale molte cose interessanti.
Dietro a queste regole c’è un capitolo suggestivo della storia della civiltà: lo sviluppo delle tecniche di produzione del cibo con l’agricoltura, fino alla scoperta (probabilmente avvenuta proprio in Egitto) che un impasto di farina lasciato a sé stesso si gonfiava e, messo in forno, produceva un alimento, il pane lievitato, più gradevole di quello azzimo finora conosciuto, anche se più deperibile. La Torà interviene a più riprese con le sue regole per disciplinare queste tecniche e darle un significato per la vita. I lavori che portano alla produzione del pane sono i prototipi delle opere dell’uomo per il controllo del creato, i modelli di alcune delle 39 melakhot da cui bisogna astenersi di Sabato: aratura, semina, mietitura, trebbiatura, macinatura, impasto ecc.; e nella festa di Pesach le regole riguardano la distinzione tra pane azzimo e pane lievitato.
L’obbligo dalla Torà
A Pesach la Torà ordina di mangiare matzà, pane azzimo (l’obbligo vale solo per la prima sera, e nella Diaspora anche la seconda) e proibisce (per tutta la durata della festa) due cose, il chametz חמץ e il seòr שאר , rispettivamente le sostanze lievitate e il lievito, che non si devono non solo mangiare ma anche tenere in casa (“farsi vedere” Shemot 13:7 e Devarim 16:4; “farsi trovare” Shemot 12:19).