David Gianfranco Di Segni
Ogni anno, quando si avvicinano il 4 e 5 dicembre, spesso viene posta la domanda sul perché questi giorni del calendario civile siano stati scelti per iniziare a recitare la richiesta della pioggia nella ‘Amidà (preghiera) dei giorni feriali. Che c’entra una data non ebraica con la Halakhà? È lecito indicare nei siddurim di preghiera le date civili? Quest’ultima domanda è stata in effetti posta alcuni anni fa da un giovane bachur yeshivà italiano al suo rosh yeshivà, il famoso rav Yehoshua Neuwirth z.l., il quale si è fatto portare un voluminoso tomo del Tur Orach Chaim, il codice di rabbì Yaakov ben Asher. Al cap. 117 il Rav ha mostrato un paragrafo del Bet Yosef, il commento di rabbì Yosef Caro (l’autore dello Shulchan Arukh, che proprio sul Tur si basa), dove è scritto che la richiesta della pioggia va fatta a partire dal 22 novembre (scritto proprio così, in lettere ebraiche) o dal 23 novembre negli anni in cui il successivo mese di febbraio (anche questo così scritto) ha 29 giorni. E tra parentesi, nelle edizioni comuni risalenti all’Ottocento, è aggiunto, rispettivamente, 3 e 4 dicembre. Ma perché novembre e non dicembre, se l’indicazione nei nostri siddurim è dicembre? E perché tra parentesi nel Tur è indicato 3 e 4 dicembre piuttosto che 4 e 5, come abbiamo indicato sopra? Di seguito la risposta a tutte queste domande.
La richiesta della pioggia si aggiunge nella preghiera dei giorni feriali con le parole “wetèn tal umatàr” (nel rito italiano e ashkenazita queste parole si aggiungono alla usuale berakhà; nel rito sefardita tutta la berakhà è sostituita con un’altra che include quelle parole). Il passaggio dalla formulazione estiva a quella invernale avviene a partire da giorni differenti, a seconda che ci si trovi in Eretz Israel o nella Golà (Diaspora). In Israele la si recita dal 7 di Cheshwan in poi, ossia quindici giorni dopo la fine della festa di Sukkot. In realtà, il ricordo della potenza divina che fa sì che scenda la pioggia si aggiunge, in tutto il mondo, già dalla mattina di Sheminì Atzeret, l’ottavo giorno dall’inizio di Sukkot. Però, la richiesta vera e propria della pioggia è posticipata di quindici giorni per dare modo ai pellegrini saliti a Gerusalemme per festeggiare Sukkot di tornare ai propri villaggi senza trovare le strade infangate e inagibili.