Riccardo Di Segni *

Da qualche tempo si sta diffondendo a Roma una nuova abitudine: chiedere che durante i matrimoni venga cantato, con accompagnamento musicale, lo Yafùtzu. Vorrei spiegare cosa è questo canto e perché non mi entusiasma il fatto che sia cantato nei matrimoni.
L’inno liturgico chiamato Yafùtzu, dalle prime parole, Yafùtzu oyevèkha, è, per la sua melodia solenne e toccante, uno dei brani musicali più belli della tradizione ebraica romana. Non sappiamo bene chi sia stato l’autore, benché il nome compaia come acrostico all’inizio delle quattro strofe che lo compongono: Yoàv. Si pensa che sia stato Yoàv ben Yechièl, un poeta liturgico romano del medioevo. La prima volta che compare in un testo a stampa è in un formulario ashkenazita del 1545. Poi compare nella Tefillat hachodesh sefardita livornese, in piccoli caratteri (che indicano che fosse poco usato), come inno per l’apertura dell’Aròn il sabato mattina. Il testo riprende brani della Bibbia, invocando la dispersione dei nemici, ricordando il servizio dei sacerdoti, invocando la venuta del messia.
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