Gheula Canarutto
All’inizio D-o creò il mondo. Nel cielo e nella terra mise il basso e l’alto, l’infimo e il sublime, la capacità di guardare all’insù senza staccarsi da giù. Creò i mari, i fiumi, le onde e le correnti e la possibilità di un continuo movimento. Fece spuntare gli alberi, le loro radici e l’attaccamento ancestrale al posto da cui si è venuti. Appese nel cielo il sole e la luna, le stelle. Da allora ogni cosa può essere vista sotto una luce diversa. Creò la dipendenza vitale dei pesci dall’acqua pensando che sarebbero stati una metafora per l’uomo che senza Torà non avrebbe potuto vivere. Anche l’istinto di sopravvivenza, quello che instillò negli animali qualche ora prima del momento cruciale di quei sei giorni, avrebbe insegnato che, di fronte a una prova, tiriamo fuori forze di cui ignoravamo l’esistenza.
Ora dopo ora, ad ogni particolare D-o aveva assegnato un tratto comune, un messaggio da cui avrebbe potuto trarre insegnamento l’ultima delle creature, ma la prima che aveva in mente. Fatto di cielo e terra, di radici e correnti, di luce e istinti, sarebbe stato l’essere umano a portare avanti lo scopo di tutta la creazione. Così solo in lui D-o soffiò l’anima dentro, prendendola dalla parte più profonda di Se Stesso. La creatura di D-o, l’essere più perfetto mai esistito, aprì gli occhi in un mondo pronto a soddisfare ogni sua esigenza. Pochi istanti dopo, disubbidendo al comandamento divino, insieme alla propria compagna di vita, mangiò il frutto dell’etz hadaat, l’albero della conoscenza.