E’ uscito un nuovo numero della Rassegna Mensile di Israel, curato da David Gianfranco Di Segni e Laura Mincer, interamente dedicato ai Rabbini Capo di Roma della prima metà del Novecento: Vittorio Castiglioni, Angelo Sacerdoti e David Prato. Si tratta di uno spaccato su un importante momento della storia ebraica e italiana, ancora poco studiato, che mostra come l’ebraismo italiano, a dispetto di quanto comunemente si pensi, non fosse affatto marginale e isolato, ma partecipasse a pieno titolo alle grandi istanze con cui si dovette confrontare l’ebraismo mondiale nella prima metà del secolo scorso.
Prefazione di Riccardo Di Segni
Questo volume è dedicato a tre figure che si sono succedute nella carica di Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma nella prima metà del XX secolo: Vittorio Castiglioni, Angelo Sacerdoti e David Prato. Il segno della loro attività è ancora vivo nelle memorie delle persone, ma accanto al racconto orale le testimonianze e i documenti scritti sono numerosi e degni di grande attenzione. È quanto si è cercato di fare organizzando a Roma, nella sede del Centro Bibliografico dell’UCEI, a cura del Collegio Rabbinico Italiano e della Comunità ebraica, tre distinti convegni, che hanno sollecitato lo sviluppo di ulteriori ricerche e hanno raccolto e divulgato il frutto di quelle in corso. Da questi eventi nasce il presente volume.
La prima metà del secolo scorso fu, per il mondo ebraico europeo, un periodo decisivo, incomparabile per la sua drammaticità alle epoche precedenti e seguenti. Anche l’ebraismo italiano ne rimase gravemente investito. Due guerre coloniali (Libia ed Etiopia), due guerre mondiali, la nascita e la fine di una dittatura, le leggi razziali e la Shoà, la fondazione dello Stato d’Israele trascinarono gli ebrei in un vortice di eventi difficilmente controllabili. Decisivo fu il comportamento della leadership, e di quella religiosa in particolare, che si era assunta, in aggiunta ai tradizionali compiti, incarichi di natura politica nei difficili rapporti con le autorità. Le catastrofi politiche dei fatali cinquant’anni avevano rimesso in discussione tutto per gli ebrei italiani; il modello di integrazione totale, che aveva raggiunto le sue massime realizzazioni alla fine della Grande Guerra, entrò in crisi progressiva con il fascismo: le coscienze si lacerarono, le Comunità si divisero e su di esse si abbatté prima la scure delle leggi razziali, poi l’incubo delle deportazioni e dei massacri. Lo smarrimento investì tutto l’ebraismo italiano, ma fu Roma a sostenerne un peso importante, per l’entità numerica e per la posizione geografica vicina al cuore del potere politico.
Sotto questi aspetti l’opera dei tre rabbini romani è di estremo interesse, offrendoci la possibilità di studiare come i rappresentanti della tradizione abbiano potuto o voluto interagire con cambiamenti radicali e costituire un riferimento saldo in momenti di tempesta. Non si può esaminare il loro ruolo senza contestualizzarlo nel momento storico in cui hanno agito, ciascuno con la sua personalità, le sue attitudini, il suo carisma. Perché di tre personalità molto diverse si tratta, che si misurarono di volta in volta con differenti problemi.