Eichmann era un cinico nazista, non la “banalità del male”
Mario Avagliano
Adolf Eichmann, ovvero il Male non banale. A 51 anni dalla pubblicazione del libro di Hannah Arendt Eichmann in Jerusalem, proposto in Italia da Feltrinelli con il titolo La banalità del male, una nuova ricerca demolisce le tesi della studiosa tedesca naturalizzata americana, che nel 1961 seguì per la rivista New Yorker le 121 udienze del processo in Israele a uno dei principali responsabili della macchina della soluzione finale, condannato a morte e impiccato l’anno dopo.
E capovolge la rappresentazione del criminale di guerra nazista fatta dalla Arendt come «un esangue burocrate» che si limitava ad eseguire gli ordini e ad obbedire alle leggi. A firmare il saggio, uscito questa settimana negli Stati Uniti per i tipi di Alfred A. Knopf e già recensito con grande rilievo dal New York Times, è una filosofa tedesca che vive ad Amburgo, Bettina Stangneth, che ha lavorato attorno alla figura di Eichmann per oltre un decennio, scavando a fondo sulla sua storia.