“Ho commesso un solo peccato nella mia vita, ho rubato un carro armato tedesco e l’ho inviato in Palestina”. Così raccontava ridendo nella sua ultima intervista, che il rabbino Elio Toaff rilasciò al giornale Shalom, in occasione del suo 95mo compleanno
Giacomo Kahn
L’età non lo ha abbattuto ed Elio Toaff, la più fulgida e illustre personalità vivente dell’ebraismo italiano, ha deciso di interrompere un forzato riposo dovuto a due dolorose fratture per concedersi in una lunga intervista a Shalom, in occasione dei suoi 95 anni. Ci accoglie con un grande sorriso, in un salotto tappezzato di simboli e documenti (menoroth, mezzuzzoth, ketubot), di libri, di fotografie (spicca nella libreria quella del rebbe dei Lubavitch Menachem Mendel Schneerson, quasi a voler smentire tutte le dicerie che negli anni lo volevano contrapposto al movimento ortodosso dei Chabad), di stampe antiche fra cui quella del vecchio tempio di Livorno (distrutto dai bombardamenti) posto simbolicamente sull’architrave della porta di ingresso.
Risponde con tranquillità e pacatezza ma soprattutto con grande ironia – doti che gli sono sempre state riconosciute – e non sono mancati momenti di vera e propria ilarità, fin dall’inizio dell’intervista: “Sono onorato che una Fondazione porti il mio nome con l’obiettivo di diffondere la Cultura ebraica, una cultura che a volte però non hanno nemmeno gli stessi ebrei”.
L’ironia di rav Toaff, a volte un vero e proprio disincanto, nasce non solo dalle sue radici toscane, dalle esperienze anche drammatiche vissute (risparmiato sul ciglio della fossa stava per essere fucilato dai nazisti), dalla profonda cultura anche umanistica, ma soprattutto come lui stesso confessa “dall’aver sempre vissuto in mezzo alla gente anche e soprattutto la più umile e la più semplice. Bisogna fare attenzione: a volte i rabbini stanno troppo dietro le cattedre”.
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