Professoressa alla Bocconi, sette volte madre, moglie, ebrea ortodossa, oggi scrittrice. Gheula Canarutto Nemni, classe 1972, racconta nel suo primo libro “(Non) si può avere tutto” la sua storia nella Milano di oggi, parlando di sfide e di difficoltà che appartengono a tutte le donne. D.it l’ha intervistata
Marzia Nicolini
“Nella diversità siamo tutti uguali”, scrive Gheula Canarutto Nemni, classe 1972, nel suo blog. E questo concetto emerge forte e chiaro anche nel suo primo libro “(Non) si può avere tutto” (Mondadori), che in qualche modo racconta di una realta a sé, quella di una donna ebrea ortodossa nella Milano di oggi, ma che in fondo traccia una storia comune, nella quale è facile rispecchiarsi: la vita di una persona che si trova a dover gestire il gioco di equilibri tra carriera e famiglia. “Ho sette figli, ho combattuto con tutta me stessa per tenermi stretto il lavoro in università. Poi un giorno ho capito che se volevo durare lì dentro, dovevo trasformarmi o in una donna single o in un perfetto uomo in carriera”.
Nell’introduzione citi: “La donna è la struttura portante della casa in cui l’uomo vive, è il terreno su cui l’uomo costruisce, è le pareti e le finestre che si affacciano sul mondo”. Cosa significa per te?
“Condensa in poche righe la figura della donna nell’ebraismo: è il concentrato dell’atmosfera in cui sono cresciuta, l’insieme degli insegnamenti dei miei maestri sulla mia identità femminile. Nell’ebraismo la donna è l’essenza della società: di madre in figlio e figlia. Questa frase termina così: ‘senza la donna non ci sarebbe l’uomo’. Il mondo, senza le donne e le madri, non potrebbe esistere, dunque”.