Il reportage provocatorio e satirico dell’intellettuale di origini ebraiche paragonato a Woody Allen e Sacha Baron Coen
Susanna Nirenstein
TUVIA Tenenbom è una forza della natura. Nato nel ’57 a Bnei Brak, Tel Aviv, quartiere ultraortodosso come ultraortodossi erano i genitori, nell’81 se ne è volato a New York da liberal e laico convinto per studiare tutto quel che non aveva mai studiato: matematica, scienze informatiche, scrittura drammatica… 15 anni di diplomi e master universitari. Parla l’arabo, il tedesco, oltre all’inglese e l’ebraico.
Ha aperto il Jewish Theatre nella Grande Mela, è diventato uno strano columnist di “sport e spiritualità” sul tedesco Die Zeit, su Forward, sull’israeliano Yedioth Ahronot. Ha cominciato a fare reportage di ogni tipo, sul sesso delle donne chassidiche, sull’Arabia Saudita, la Giordania, i campi di profughi palestinesi, il Festival di Bayreuth. È onnivoro, caustico, sfrontato ma garbato, innocente, qualcuno l’ha paragonato a Sacha Baron Cohen, qualcun altro a Woody Allen.
Nel 2010 una grande casa editrice tedesca gli chiede di scrivere un diario di viaggio in Germania: non una guida, sei mesi di spostamenti e di impressioni e tanti soldi. Ma ecco nascere dai fatti e dai suoi innumerevoli incontri, un resoconto corrosivo e amaro, un libro che l’editore avrebbe voluto purgare. Pubblicato intonso dal berlinese Suhrkamp, per mesi in cima alle classifiche, Ho dormito nella camera di Hitler ( Bollati Boringhieri, trad. Sara Sullam, pagg.293, euro 18,50) mostra che i tedeschi, oltre a bere troppa birra, sono pesantemente antisemiti.