DISPUTA Una tesi innovativa sulla nascita del quartiere ebraico di Roma. Calimani: è buonismo. Anna Foa: volevano integrarli. Prosperi: non rivalutiamo la Controriforma
Chiudere nel Ghetto gli ebrei per «controllarli, educarli, spingerli alla conversione». In una parola, integrarli. L’ innovativa interpretazione di quella «mezza prigione» che fu il Ghetto di Roma, istituito nel luglio 1555 da Paolo IV Carafa con la bolla pontificia Cum nimis absurdum, verrà sostenuta domani pomeriggio da una delle maggiori storiche della materia, Anna Foa, docente alla Sapienza, durante gli incontri organizzati a Castel Sant’ Angelo dall’ editore Laterza. Ma la lezione, anticipata l’ altro ieri in parte dal quotidiano cattolico «Avvenire», fa discutere gli specialisti. Intendiamoci, si tratta di sfumature, ma piccoli spostamenti dell’ angolazione da cui si legge la storia possono risultare rivoluzionari. Innanzitutto Anna Foa sottolinea che negli anni della Controriforma, quindi del momento più aspro nella lotta ideologica contro le eresie, nello Stato pontificio l’ atto di espulsione avviene contestualmente a un atto di inclusione, la creazione di due ghetti, ad Ancona, e a Roma.