Parashà di Mikkètz . Chanukkà
Ishai Richetti – Tempio di via Eupili – Milano
La lettura della Parashà di Mikketz, che si presenta sempre a Channukà dovrebbe certamente aiutarci a comprendere gli eventi storici ai tempi dei Chsahmonaim, ma c’è così tanto da fare e da vedere che rischiamo di trascurare le storie su Yosef, i sogni del Faraone e i ripetuti viaggi dei fratelli di Yosef in Egitto per procurarsi il cibo. Se leggiamo sommariamente la parashà, perdiamo il significato del calice “che appare stranamente” nel sacco di Binyamin, calice che Yosef, non riconosciuto dai propri fratelli, ordina al suo servo di mettere nel sacco dopo uno degli incontri con i fratelli in Egitto (Bereshit 44:2). Poco dopo (Bereshit 44:5), Yosef ordina ai suoi servi di inseguire i fratelli, accusandoli di aver rubato il calice che “usa per compiere la divinazione” (“nachesh yenachesh bo”). Questo fa eco ad un confronto simile avvenuto molti anni prima, quando Lavan accusò Yaakov di aver rubato i suoi idoli. Similmente a Yaakov che negò l’accusa di Lavan (Bereshit 31,32), dicendo che «chi scoprirai che li possiede non vivrà», non sapendo che Rachel li aveva presi, i fratelli di Yosef dicono (Bereshit 44,9): «Chi le ha con se morirà e il resto di noi diventerà vostri schiavi”. Yosef rimprovera i propri fratelli quando viene ritrovata la coppa, dicendo (Bereshit 44,15) “che cosa avete fatto? Non vi rendete conto che una persona come me poteva certamente indovinare attraverso la divinazione? (nachesh yenachesh ish asher kamoni).”
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