Sul messianesimo laico di sinistra
Ugo Volli
La settimana scorsa Moked ha pubblicato un ritratto della giornalista israeliana Amira Hass, suscitando una risposta polemica da parte di Davide Nizza, che condivido integralmente. Agli occhi di chi come me studia le relazioni fra i modi di comunicare e i significati trasmessi, in quell’intervista colpiva però un passaggio in cui la Hass affermava questa catena di concetti: in quanto figlia di sopravvissuti della Shoà, era stata educata all’eguaglianza, quindi era di sinistra e di conseguenza aveva deciso di mettersi dalla parte dei palestinesi, almeno dalla loro parte della barriera di sicurezza. E’ una catena di ragionamenti molto interessante, anche perché molto condivisa, al di là della vicenda umana della giornalista di Haaretz. Vale la pena di analizzarla con la velocità, ma anche la necessaria superficialità caratteristica di una rubrica come questa.
Che essere di sinistra voglia dire essere coi palestinesi, con gli arabi, con gli islamici ecc. (e dunque, se non giochiamo con le parole, contro Israele) lo vediamo da cinquant’anni su tutte le piazze del mondo e abbiamo appena finito di rivederlo le scorse settimane. Sarebbe bene che chi si sente di sinistra si chiedesse perché. Per i contenuti culturali del Corano (le pene corporali, la discriminazione o peggio di donne e omosessuali ecc.)? Sfogliando il classico libretto di Bobbio su destra e sinistra mi sembra difficile. Perché i palestinesi e in generale gli arabi sono gli oppressi? Intanto bisognerebbe chiedersi perché e da chi sono oppressi, chi si tenga al potere con la violenza e la tortura, chi non divida i proventi del petrolio. E poi sarebbe una buona ragione per approvare chi come Bush aveva il programma – un po’ ideologico, lo ammetto – di risolvere la questione del Medio Oriente importando la democrazia nel mondo arabo.
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